Alla base di ogni percorso di cura/guarigione si colloca inevitabilmente il processo diagnostico, cioè l’insieme dei criteri analitici, logici, intuitivi e deduttivi che applicati ai segni e ai sintomi del paziente, portano all’individuazione della/e patologia/e che affliggono la persona che ci è di fronte. Ma la diagnosi è un atto medico, legge 42/99: “ai fini preventivi, terapeutici e riabilitativi, viene definita come una diretta, esclusiva e non delegabile competenza del medico e impegna la sua autonomia e responsabilità”.
Non ci può essere cura, trattamento o atto terapeutico se non c’è una diagnosi! A meno di una riacutizzazione di una patologia cronica; ma anche in questo caso bisognerebbe escludere un peggioramento del quadro anatomo-funzionale che potrebbe sottintendere una modifica del percorso terapeutico.
Il sintomo è l’espressione del «disagio» del nostro corpo che usa questi segnali per informarci che non siamo sulla strada corretta per la nostra crescita, che c’è qualcosa da cambiare.
Ma molto spesso i segnali sono così sfumati che non ci facciamo assolutamente caso.
Per questi motivi è sovente necessario, oltre alla valutazione clinica, eseguire esami strumentali che permettano di estendere le nostre capacità «sensoriali» anche alle situazioni in cui il corpo è silente e la malattia quiescente, permettendoci di agire nelle fasi subcliniche, precoci, della stessa.
Pur tuttavia è necessario tenere sempre ben in mente che non basta eseguire un esame strumentale per fare una diagnosi.
Pertanto la diagnostica strumentale dev’essere essenziale e complementare al sospetto clinico; l’utilizzo delle metodiche segue di pari passo la complessità del quadro clinico o delle strutture da esaminare.
Insomma, è più che mai valido il motto: «L’esame giusto, al momento giusto!»